MELTING-POT   "Métissage Culturel - Universel"
"Metissaggio e dialogo delle culture"

MELTING - POT é un programma che ha come scopo, di aprire una finestra di tipo politico e socio-culturale sul mondo africano, luogo di antiche tradizioni e di diaspore dalle origini lontane, ed a volte con conflitti mai risolti. Oltre a questo, l'attenzione sarà rivolta anche agli incontri internazionali, sulle tematiche e problematiche non solo africane, ma anche del mondo.

- Questa rubrica di Mohamed BA, sarà arricchita con documenti audio e video relativi a convegni o servizi, interviste, notizie di agenzie e quanto altro possa servire a contribuire alla conoscenza, alla Ri-conoscenza e alla difesa delle espressioni culturali- universali.

- Un augurio di buona navigazione, nel approfondire la ricerca, nei "meandri" della antropologia culturale africana e occidentale. Ed ai "profani" l'augurio di scoprire l'altra faccia del Metissaggio culturale-Universale.

SUDAN - GUERRA ALL’OVEST E TENSIONI ALL’EST

La guerra civile nel Darfur ha fatto dal suo disinnesto nel febbraio 2003 qualche settantamila morti, 1,5 milioni di spostati e altri duecentomila circa di rifugiati nel Ciad.

I due principali movimenti ribelli del Darfur, il Movimento di liberazione del Sudan (SLM) e il Movimento per la giustizia e legalità (JEM) riguardano d’ora in avanti con desiderio il risultato della lunga guerra del SPLA ( Sudan People’s Liberation Army) nel sud. Essi hanno compreso che erano condannati ad indurire il loro movimento per pervenire alla stessa fine. Ove la moltiplicazione delle incursioni, seguite da rappresaglie dalla parte delle truppe regolari. I due movimenti ribelli del Darfur chiedono che le sia accordato nelle loro regioni quello che é stato accordato all’SPLA di John Garang, nel sud, compreso una spartizione del potere e delle ricchezze.

I negoziati d’Abuja tra ribelli e Khartoum dovevano riprendere nella prima settimana di febbraio in vista di un accordo come quello intervenuto per il Sud. Questi difficili “pourparlers” di pace, che si svolgono sotto l’egida dell’Unione Africana, erano stati sospesi il 21 dicembre scorso, dopo aver inciampato sulla questione del rispetto del cessate -il fuoco sul terreno. Questa volta il presidente Al-Bachir ha incaricato il vice- presidente Ali Osman Mohammed di dirigere la delegazione governativa, al posto del ministro dell’Agricoltura, Majzoub al-Khalifa, un uomo rozzo, molto meno apprezzato dai suoi interlocutori. Ali Osman Mohammed aveva diretto le negoziazioni governative con i ribelli del Sud, che sono arrivati alla firma dell’accordo di pace globale tra i due vecchi belligeranti. All’est, ai confini con l’Eritrea, Khartoum é confortata dal 1994 alla rivolta “Béja”, un gruppo che conta circa 2 milioni di persone, rappresentato da due movimenti ribelli, i Leoni liberi (FLM) (Freedom Liberation Movment) e il Congresso “Béja”. Chiedono anche loro, la fine della marginalizzazione della loro regione e una parte equa delle ricchezze.

UNA PACE DIFFICILE

L’accordo di pace finalmente firmato a Nairobi dal vice- presidente sudanese, Ali Osman Mohammed Taha, e il dirigente dei ribelli dell’ SPLA( Sudan People’s Liberation Army), John Garang, ha sollevato tanta speranza quanto apprensione. L’accordo é stato firmato in presenza di Collin Powell, del presidente Kenyano, Kibaki, e del presidente ugandese, Museveni, tra gli altri. Se l’accordo regge, esso mette fine a un conflitto civile di ventuno anni, che ha ammazzato qualche 2 milioni di persone ed ha visto non meno di quattro milioni di sfollati. L’essenziale di questo accordo- contestato al Nord e al Sud- stipula che Garang sarà vice- presidente, che la ricchezza petroliera sarà divisa 50/50 tra il Nord e il Sud, che i dieci Stati del Sud rimarranno secolari, mentre il Nord resterà regolato dalla legge islamica. Esso precisa che il 30% dei posti ufficiali andranno nelle mani dei sudisti e che al Parlamento saranno rappresentati il Congresso nazionale, attualmente al potere (58%), il SPLA (28%), altri partiti del Nord (14%) ed altri partiti del Sud (6%). Una missione delle Nazioni Unite dovrà supervisionare il processo, che deve terminare con un referendum nel 2011, permettendo ai sudisti di optare a favore della secessione o di restare nel seno di un Sudan federale. La via verso la pace é lunga e difficile. Secondo numerosi osservatori, firmare l’accordo é stato più facile che applicarlo. I principali partiti del Nord, l’unione democratica di Mirghani e il partito dell'Oumma di Sedik al-Mahdi, rifiutano di partecipare al nuovo governo. Le forze del Sud accusano Garang di aver concluso da solo un mercato, senza associare le forze in presenza nella regione. Eppure Garang ha ben provato di far partecipare dei non-Dinka come Riak Machar e Yasir Aman. Ex- capo ribelle del Sud e una volta vicepresidente sudanese, Joseph Lagu ha minacciato una ripresa delle armi se tutte le forze del Sud non saranno associate. Il movimento di John Garang, dominato dagli Dinka , é confrontato anche a dei problemi interni, con la minaccia di ribellione brandita dal vice di Garang, Salva Kiir Mayardi, assente durante la cerimonia della firma dell’accordo di pace a Nairobi. Il nuovo accordo di pace deve anche fare fronte a delle tensioni regionali, come l’ha sottolineato Garang durante il suo incontro con l’Eritreo Issayas Afeworki, che l’ha sempre sostenuto. L’Eritrea é in brutti rapporti con il Sudan, alleato dell’Etiopia, questo ultimo nemico dell’Eritrea.

L’Egitto e la Libia sono anche parti impegnate nella situazione complicata, come lo é anche il capo del Congresso popolare sudanese, il falco Hassan el-Tourabi, attualmente dietro le sbarre a “Omduman”, ma che conserva sempre il suo potere di degrado. Garang e Bachir opereranno in concerto?

Il ritiro delle truppe sarà senza conseguenze ? I generali del Nord accetteranno “nella calma” la prospettiva di un referendum nel 2011? E più importante: come sarà risolto il conflitto nel Darfur? Pur sostenendo i sudanesi nelle loro speranze, non possiamo evitare di porci molte questioni e di considerare gli ostacoli che non mancheranno.